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Si definisce alessitimia (o alexitimia) un insieme di deficit della competenza emotiva ed emozionale, palesato dall’incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi, questa è la definizione riportata da Wikipedia e che mette in evidenza una condizione che al giorno d’oggi si trova con una certa frequenza nelle persone che intraprendono un percorso di psicoterapia. L’alessitimia è da un lato l’incapacità di esprimere con le parole le proprie emozioni (nello specifico, le parole che descrivono le emozioni sono vuote di significato), dall’altro è l’incapacità di percepire e riconoscere le emozioni. Esiste quindi sia un problema di espressione che un problema, ancora più alla base, di presa di contatto con i propri stati emotivi.

Il termine venne coniato da P. E. Sifneos nel 1972 in Psicoterapia breve e crisi emotiva per descrivere uno stile affettivo e cognitivo caratterizzato da una difficolt. marcata a esprimere verbalmente le emozioni ed una accentuata diminuzione, o assenza, della fantasia (NEMIAH e SIFNEOS, 1970; SIFNEOS, 1973).

Questa condizione viene messa in relazione ai disturbi psicosomatici, in quanto nel momento in cui viene a mancare la capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni e non si riesce a dar loro voce è il corpo che parla, e lo fa attraverso un linguaggio simbolico che tuttavia appare vuoto di significato. Il corpo quindi parla per noi attraverso sintomi fisici che non hanno alcuna causa organica (mal di testa, dolori di stomaco, svenimenti, vomito incontrollato,…) o finendo per contribuire allo sviluppo o all’aggravarsi di specifiche patologie (come ad esempio, in alcuni casi, nelle manifestazioni sintomatiche correlate al morbo di Crohn). Un testo interessante relativo al ruolo che assume il corpo nell’espressione del disagio laddove non vi è la possibilità di esprimere le emozioni è I Teatri del corpo di Joice McDougall che in Italia è edito da Cortina. Questo testo, pur essendo di matrice psicodinamica, cosa che non è molto vicina al mio orientamento sistemico-relazionale, è a mio avviso un interessante spunto per la lettura degli aspetti psicologici che stanno alla base dei disturbi psicosomatici.

Nel corso degli anni, nei diversi percorsi di psicoterapia intrapresi con i clienti che via via si sono avvicendati presso i miei studi di Milano e Desio, ho sviluppato un’ipotesi di correlazione tra l’alessitimia e i disturbi psicosomatici che permette di mettere sll’interno di un continuum anche la sintomatologia di carattere ansioso.

Nello specifico, da un lato di questo continuum vi è la capacità del soggetto di entrare in contatto, dare un nome ed esprimere le emozioni; in questo caso il livello di benessere è elevato e c’è una fluidità per quanto riguarda la sfera emotiva e l’interazione con il contesto e con gli altri.

Procedendo nel continuum troviamo la presenza di alcune difficoltà di entrare in contatto, di dare un nome e di esprimere le emozioni che genera una sorta di “massa emotiva” indifferenziata che genera stati di ansia che possono essere di frequenza ed intensità variabile. In questo caso la persona prova “ansia” e non è in grado di nominare le emozioni che prova in quel momento e perciò di individuare la loro origine. E’ come se gli aspetti emotivi si siano aggrovigliati tra loro, formando con tutti i loro fili una sorta di gomitolo indifferenziato (il gomitolo dell’ansia) che, andando avanti nel continuum, è sempre più difficile da sbrogliare e da distinguere tutte le sue parti. Dal punto di vista dell’intervento psicoterapeutico, a questo livello è importante ricondurre (o condurre) la persona a riprendere (o prendere) contatto con le proprie emozioni, ricostruendo (o costruendo) un alfabeto delle emozioni. Una delle tecniche che si possono utilizzare (tecnica che ho coniato io e che mi sembra che in diversi casi abbia funzionato molto bene) è quella di far costruire al paziente una “scatola delle emozioni” (che funge da contenitore emotivo) nella quale riporre in un tempo specifico le esperienze a valenza emotiva da lui/lei sperimentate e di stimolare lo stesso paziente a dare un nome a queste emozioni, individuandole nell’ambito delle emozioni primarie.

Ad un livello successivo del continuum si scivola in un’area in cui l’alessitimia genera la totale incapacità del soggetto di entrare in contatto con il proprio stato emotivo. Ne deriva che non è più presente nemmeno quella matassa indifferenziata che viene individuata come “ansia” ed il corpo diviene veicolo di manifestazione della sofferenza attraverso espressioni sintomatiche di carattere fisico che, pur avendo in diversi casi un aspetto simbolico, di fatto non risultano avere una valenza comunicativa vera e propria in quanto trattasi di una forma di linguaggio pre-verbale che genera una situazione relazionale in cui la risposta verbale da parte dell’altro non assume alcun significato terapeutico. Per essere più chiara rispetto a tale punto faccio l’esempio di una persona che non riuscendo a esprimere la propria rabbia e tristezza finisce per perdere contatto con essa e nel tempo manifesta dei sintomi fisici, quali ad esempio vomito incontrollato o continui episodi di forte dissenteria e coliche, che a livello simbolico potrebbero rappresentare il tentativo della persona di liberarsi di qualcosa che non riesce ad esprimere. Nel momento in cui tuttavia si tenta di dare questa restituzione al paziente durante il percorso di psicoterapia l’effetto può essere abbastanza deludente, in quanto pressoché nullo. In questo caso infatti non è a mio avviso utile rispondere esclusivamente ad un messaggio pre-verbale con un’interazione verbale centrata sul significato del sintomo, occorre, sempre secondo il mio modesto e non empiricamente verificato parere, accompagnare il paziente a ripercorrere a ritroso quel continuum, con l’obiettivo di riempire di significato le parole e fornire così alla persona strumenti utili ad esprimere le emozioni.

Queste considerazioni, come ho già detto sopra, sono personali e derivano dall’esperienza sul campo. Lascio libero nella parte dei commenti all’articolo lo spazio per il confronto.

Per finire inoltre segnalo questo link a un articolo pubblicato on line da due psicologi dell’Università di Roma (Barruffi Angela e Baiocco Roberto) i quali avanzano l’ipotesi della correlazione tra l’alessitimia e l’uso di sostanze. In questo scritto l’abuso di sostanze (droga, alcool…) è visto come un disturbo della modulazione degli affetti.

Informazioni su robertamilzoni

psicologa psicoterapeuta

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